jueves, 9 de julio de 2009

VOCES. 1909-2009: El Futurismo ya es historia - Libros contados



I futuristi (A cura di Francesco Grisi), Grandi Tascabili Economici, Newton, Roma 1994.

Grueso volumen de la impagable colección de tascabili que la editorial Newton publicó durante las décadas de los setenta y los noventa dedicado al futurismo. La selección, a cargo de Francesco Grisi, incluye una docena de manifiestos, además de poemas, imágenes, cronologías, biografías y ensayos en torno al movimiento inaugurado por Marinetti.

Abbiamo scelto, commentato, ordinato. Il futurismo è anche storia d’Italia nel bene e nel male. È stata una rivoluzione che non si è realizzata anche se ha agitato bandiere. Appunto. Una rivoluzione all’italiana. Ma chiunque intende fare storia della cultura del Novecento debe confrontarsi con il futurismo. Le mode passano e le avanguardie tramontano. Ma profetizzare il futuro è stato sempre il sacro peccato dell’uomo” (P. 5).




Giordano Bruno Guerra, Filippo Tommaso Marinetti. Invenzioni, avventure e passioni di un rivoluzionario, Mondadori, Milano, 2009.

Detallada biografía en la que el historiador Giordano Bruno Guerri, experto también en Malaparte y D’Annunzio, traza la peripecia vital del creador del futurismo italiano, desde su nacimiento en la Alejandría colonial hasta su muerte, como comparsa un tanto patético del fascismo, entre las ruinas de la República de Salò. Especialmente lúcidas las páginas dedicadas al surgimiento del movimiento fascista y las conclusiones finales.

Eppure, nonostante l’influenza che Marinetti ebbe sulla cultura europea del XX secolo, la sua figura è stata (e in parte è) antipatica, addirittura odiosa. Come quella di tutti coloro che metaforicamente uccidono il padre. Agli occhi della cultura scolastica e di quella academica italiana, Marinetti ha tentato di rendere l’Italia orfana: della tradizione, della storia, delle glorie passate con cui si giustificano le miserie e le inadeguatezze del presente. Marinetti, da eretico miscredente, è sembrato svendere i nostri miti e ridicolizzare l’arte, unico nostro orgoglio secolare, trattandola como gioco o merce” (P. 291).




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